Sentenza n. 248 del 2021

SENTENZA N. 248

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi e la Banca d’Italia e altri, con sentenza parziale del 10 febbraio 2020, iscritta al n. 174 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti gli atti di costituzione della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi e della Banca d’Italia;

udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2021 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato Antonio Mastri per la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 18 maggio 2021, e gli avvocati Stefania Ceci e Donato Messineo per la Banca d’Italia;

deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Con atto qualificato come sentenza parziale del 10 febbraio 2020, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), nella parte in cui subordina la proposizione delle azioni civili nei confronti dei commissari straordinari delle banche alla previa autorizzazione della Banca d’Italia.

Il giudice a quo ha denunciato la violazione degli artt. 3, 24, 28, 47, 97, 101, 102, 103, 111, 113 e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – nonché degli artt. 11 e 117 Cost., in relazione sia all’art. 34, paragrafo l, lettera e), della direttiva (UE) 2014/59 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio; sia all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

1.1.– Il TAR rimettente riferisce che, con il ricorso introduttivo del giudizio principale, la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi ha chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del provvedimento del 6 marzo 2018, con cui il Governatore della Banca d’Italia ha negato alla ricorrente l’autorizzazione a chiamare, nel giudizio civile promosso davanti al Tribunale ordinario di Ancona dalla Banca delle Marche spa, coloro che avevano ricoperto l’incarico di commissari straordinari di tale banca, successivamente sottoposta a procedura di risoluzione.

La Fondazione ricorrente ha rappresentato di essere intervenuta, quale portatrice di azioni ordinarie della Banca delle Marche spa e di prestiti obbligazionari per ingenti somme, nel giudizio di responsabilità promosso da quest’ultima, ai sensi degli artt. 2392 e seguenti del codice civile, contro i suoi amministratori, sindaci, direttore generale e vice direttori. Intendendo far valere le proprie ragioni risarcitorie anche nei confronti dei commissari dell’amministrazione straordinaria nominati dalla Banca d’Italia, la ricorrente aveva presentato alla stessa istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario: autorizzazione che era stata, tuttavia, negata.

Contro tale atto la ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere in relazione a diverse figure sintomatiche (travisamento dei fatti e falso presupposto, abuso e sviamento di potere, ingiustizia manifesta e carenza di istruttoria), prospettando, altresì, profili di illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario.

La Banca d’Italia si è costituita in giudizio, eccependo l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione e genericità delle censure, e concludendo, comunque sia, per il suo rigetto nel merito.

Con ordinanza del 22 maggio 2018, il Tribunale rimettente ha respinto l’istanza cautelare della ricorrente. Il Consiglio di Stato, con ordinanza del 1° agosto 2018, ha tuttavia accolto l’appello cautelare, ordinando Banca alla d’Italia un pronto riesame dell’istanza di autorizzazione rivoltale.

Con provvedimento del 13 agosto 2018, la Banca d’Italia ha, peraltro, confermato il diniego di autorizzazione.

La ricorrente ha quindi impugnato, con motivi aggiunti, anche tale atto, censurandolo per violazione dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario, eccesso di potere ed elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato.

1.2.– Esclusa, in via preliminare, la fondatezza delle eccezioni di inammissibilità formulate dalla Banca d’Italia, nel merito il giudice a quo reputa che le censure della ricorrente di illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario, carenza di motivazione ed eccesso di potere non meritino accoglimento.

Con tali provvedimenti, infatti, la Banca d’Italia ha posto in evidenza, sulla base di attenta istruttoria e dell’esame degli elementi addotti dalla Fondazione, la manifesta infondatezza e la pretestuosità – secondo la sua prospettiva – dell’azione di responsabilità che la ricorrente intendeva avviare nei confronti dei commissari.

I rilievi mossi dalla ricorrente all’operato dei commissari non sarebbero in grado di dimostrare che i provvedimenti gravati siano inficiati da manifeste illogicità o palesi errori, tali da aprire la strada, nel giudizio a quo, a un approfondimento istruttorio. Ciò, tenuto conto dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti espressivi di discrezionalità tecnica, dovendo tale sindacato rimanere circoscritto a un controllo di tipo “estrinseco”, senza decampare in valutazioni di merito sulle azioni civili che si intendono intraprendere.

Neppure, poi, con riguardo al nuovo provvedimento, adottato dopo l’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sarebbe riscontrabile la denunciata elusione della decisione del giudice d’appello. Con tale provvedimento, in accordo con quanto richiesto dalla pronuncia cautelare, la Banca d’Italia ha riesaminato l’istanza di autorizzazione della ricorrente e, rispondendo ai rilievi formulati nell’atto d’appello, ha confermato le conclusioni cui in precedenza era pervenuta.

1.3.– La ricorrente ha, tuttavia, contestato i provvedimenti anche in ragione della dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost.

Ad avviso del giudice a quo, le questioni prospettate dalla ricorrente – opportunamente integrate quanto ad argomentazioni di supporto e a parametri di riferimento – meriterebbero «favorevole apprezzamento».

Esse sarebbero rilevanti nel giudizio principale, in quanto gli atti impugnati costituiscono applicazione diretta della norma sospettata di contrasto con la Costituzione. Stante l’infondatezza delle altre censure della ricorrente, l’accoglimento del gravame potrebbe derivare esclusivamente dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma denunciata.

1.4.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che l’art. 72, comma 9, t.u. bancario, nel testo attualmente vigente e applicabile nel giudizio principale, stabilisce che «[l]a responsabilità dei commissari e dei membri del comitato di sorveglianza per atti compiuti nell’espletamento dell’incarico è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave. Le azioni civili nei loro confronti sono promosse previa autorizzazione della Banca d’Italia».

La disposizione censurata si colloca nell’ambito della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle banche, che è una procedura temporanea volta a far fronte alle situazioni critiche tassativamente indicate dall’art. 70, comma 1, t.u. bancario, tra cui la riscontrata esistenza di irregolarità nell’amministrazione dell’impresa bancaria. Essa comporta lo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo della banca e la nomina in loro vece, da parte della Banca d’Italia, di uno o più commissari straordinari e di un comitato di sorveglianza.

Ai sensi dell’art. 72 t.u. bancario, i commissari straordinari – i quali, nell’esercizio delle loro funzioni, sono pubblici ufficiali – esercitano i poteri dei disciolti organi amministrativi della banca, salva la facoltà della Banca d’Italia di stabilire speciali limitazioni dei loro compiti o di attribuire loro compiti ulteriori e diversi. Essi possono essere revocati o sostituiti dalla Banca d’Italia; ricevono per la loro opera le indennità da questa determinate; sono tenuti al rispetto delle istruzioni e delle direttive impartite dalla Banca d’Italia; debbono chiedere l’autorizzazione di quest’ultima per convocare gli organi della banca, temporaneamente sospesi.

Pur nell’ambito di una necessaria autonomia gestionale, i commissari operano, dunque, in stretta sinergia con l’Autorità che li nomina. Essi risulterebbero, perciò, legati alla Banca d’Italia, per la durata del loro incarico, da un rapporto straordinario, ma organico.

1.5.– Su tale premessa, il rimettente reputa che la norma censurata, nella parte in cui richiede l’autorizzazione della Banca d’Italia per proporre azioni civili nei confronti dei commissari straordinari, si ponga in contrasto con l’art. 28 Cost., che prevede la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti.

Il meccanismo autorizzativo denunciato riecheggerebbe l’istituto della cosiddetta garanzia amministrativa, previsto da norme anteriori alla Costituzione, quali quelle che stabilivano che non potesse procedersi per fatti commessi dai prefetti e dai sindaci senza l’autorizzazione del Capo dello Stato: norme dichiarate costituzionalmente illegittime da questa Corte con la sentenza n. 4 del 1965.

Analogamente alle predette disposizioni, anche quella sottoposta a scrutinio nel presente giudizio consentirebbe alla Banca d’Italia di sottrarre discrezionalmente all’autorità giurisdizionale il giudizio sulla responsabilità dei commissari straordinari, con il risultato di creare inammissibili aree di immunità. Nell’esercizio del potere di autorizzazione, la Banca d’Italia non sarebbe vincolata, infatti, al rispetto di criteri di valutazione obiettivi e prestabiliti. Per giunta, il vaglio autorizzativo non offrirebbe alcuna garanzia di imparzialità, provenendo dalla stessa autorità amministrativa che nomina i commissari e che può essere eventualmente chiamata a rispondere del loro operato, con possibile situazione di conflitto di interessi.

Alla luce della giurisprudenza costituzionale, le eccezioni al principio enunciato dall’art. 28 Cost., se pure possibili, dovrebbero trovare fondamento nell’esigenza di rispetto di precise garanzie costituzionali, com’è, ad esempio, per la responsabilità civile dei magistrati: garanzie non rinvenibili rispetto ai commissari straordinari delle banche.

In confronto a questi ultimi, la previsione di un «filtro amministrativo» non potrebbe essere giustificata – contrariamente a quanto pure si è sostenuto in giurisprudenza – dalla rilevanza del settore creditizio e dalla necessità di schermare i commissari da iniziative giudiziarie “di disturbo”, a tutela della loro indipendenza e serenità di giudizio. I rischi prospettati non sarebbero, infatti, diversi da quelli cui sono esposte altre categorie professionali che non godono di analogo privilegio, quali, ad esempio, i commissari straordinari delle grandi imprese in stato di insolvenza, nominati dal Ministro competente ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell’articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274).

1.6.– Il rimettente rileva, altresì, che il principio della responsabilità diretta dei funzionari pubblici è stato introdotto dal Costituente nella consapevolezza che la collocazione della responsabilità in un ambito esterno alla pubblica amministrazione implica un incremento delle garanzie di imparzialità e di efficienza.

Per questo verso, la deresponsabilizzazione dei commissari, conseguente alla “schermatura” dal sindacato giurisdizionale prefigurata dalla norma denunciata, entrerebbe in conflitto con i principi di tutela del risparmio e di buona amministrazione, enunciati rispettivamente dagli artt. 47 e 97 Cost.

Il «filtro amministrativo» sulle azioni civili si risolverebbe in una «iperprotezione» dei commissari rispetto a rischi fronteggiabili con misure più ragionevoli e proporzionate. I commissari sarebbero, in effetti, già tutelati attraverso la generale limitazione della loro responsabilità ai casi di dolo e colpa grave, cui potrebbero associarsi altre misure, quale, ad esempio, forme di copertura assicurativa con oneri a carico dell’ente che conferisce l’incarico.

Un deterrente adeguato contro la cattiva amministrazione dei commissari non sarebbe offerto, d’altro canto, neppure dal possibile esercizio di un’azione di rivalsa da parte della Banca d’Italia, ove chiamata a risarcire i danni derivanti dal loro operato: ciò, stante l’assenza di una norma che – sulla falsariga di quanto avviene per i magistrati – renda la rivalsa obbligatoria.

1.7.– Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe anche l’art. 3 Cost., introducendo una eccezione al principio di responsabilità per gli atti compiuti in violazione dei diritti non giustificata da ragioni soggettive e oggettive, e tale da determinare una disparità di trattamento rispetto ad altri agenti pubblici che svolgono compiti non meno elevati di quelli dei commissari straordinari: profilo per il quale risulterebbero pienamente pertinenti le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 94 del 1963, nel pronunciarsi sulla cosiddetta garanzia amministrativa già prevista dall’art. 16 del codice di procedura penale del 1930 per i reati commessi in servizio di polizia.

1.8.– Per le ragioni esposte, la norma censurata determinerebbe, inoltre, una menomazione del diritto di accesso a un giudice terzo e imparziale, garantito dall’art. 24 Cost., consentendo altresì all’autorità amministrativa di interferire indebitamente nella sfera della giurisdizione, in contrasto con gli artt. 101, 102, 103, 111 e 113 Cost.

Ad evitare il vulnus al diritto alla tutela giurisdizionale non basterebbe la possibilità di impugnare il diniego di autorizzazione davanti al giudice amministrativo, stanti i ricordati limiti del sindacato di quest’ultimo sui provvedimenti espressivi di discrezionalità tecnica. Il giudice amministrativo – ad avviso del rimettente – potrebbe esercitare solo un controllo di tipo “estrinseco”, senza poter sostituire decisioni dell’autorità di vigilanza la cui motivazione superi il vaglio della plausibilità.

A riequilibrare il sistema non basterebbe neppure la possibilità, per il danneggiato, di agire, senza alcun “filtro”, nei confronti della Banca d’Italia. Secondo il rimettente, alla luce dell’art. 2 Cost., la responsabilità civile non potrebbe essere relegata ad un ambito meramente patrimoniale, trascurando le sue «implicazioni personalistiche»: essa imporrebbe, pertanto, il coinvolgimento personale e diretto del danneggiante nell’accertamento giudiziale del fatto illecito.

1.9.– Tutto ciò implicherebbe anche la violazione dei parametri sovranazionali – l’art. 6 CEDU e l’art. 47 CDFUE – che garantiscono il diritto di accesso a un tribunale e l’effettività della tutela giurisdizionale, con conseguente violazione indiretta, rispettivamente, dell’art. 117 Cost. e degli artt. 11 e 117 Cost.

Ricorrerebbe, d’altronde, il presupposto di applicazione della Carta, essendo la materia bancaria regolata dal diritto dell’Unione europea, anche per quanto attiene alle procedure di composizione delle crisi.

1.10.– Il rimettente denuncia, infine, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., la violazione della direttiva 2014/59/UE, recepita nel nostro ordinamento con due decreti legislativi, la quale, nell’introdurre l’istituto della risoluzione delle banche in dissesto o a rischio di dissesto – procedura cui è stata sottoposta, nel caso di specie, la Banca delle Marche spa, dopo l’amministrazione straordinaria – prevede, all’art. 34, paragrafo 1, lettera e), che le persone fisiche, oltre che giuridiche, le quali abbiano causato il dissesto dell’ente siano tenute a risponderne: principio da ritenere riferibile non solo alle cause genetiche, ma anche all’aggravamento della situazione.

1.11.– Sulla scorta di tali considerazioni, il TAR rimettente ha rigettato quindi parzialmente, «nei sensi e nei limiti di cui in motivazione», il ricorso introduttivo del giudizio a quo e il ricorso per motivi aggiunti; ha dichiarato, nel contempo, rilevanti e non manifestamente infondate le questioni dianzi indicate, sospendendo il giudizio in corso.

2.– Si è costituita in giudizio la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, ricorrente nel giudizio a quo, la quale ha chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate, rilevando come le argomentazioni del giudice rimettente recepiscano e sviluppino quanto da essa già sostenuto nel ricorso introduttivo del giudizio principale.

3.– Si è costituita, altresì, la Banca d’Italia, resistente nel giudizio a quo, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate.

3.1.– Ad avviso della Banca d’Italia, le questioni sarebbero inammissibili per difetto di rilevanza.

In luogo di sospendere immediatamente il giudizio a quo a seguito dell’insorgenza dei dubbi di illegittimità costituzionale, il TAR rimettente si è, infatti, pronunciato con sentenza sulla legittimità di entrambi i provvedimenti impugnati, dichiarando infondate tutte le censure mosse nei confronti dei medesimi. In tal modo, il rimettente avrebbe già fatto applicazione della norma censurata, consumando il proprio potere decisorio.

3.2.– Le questioni sarebbero inammissibili anche per erronea individuazione della norma da sottoporre a scrutinio.

Con esse il rimettente avrebbe lamentato le presunte limitazioni del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti della Banca d’Italia: ottica nella quale egli avrebbe dovuto dubitare della legittimità costituzionale delle norme processuali che non attribuiscono sufficienti poteri al giudice, e non già della legittimità delle norme sostanziali che attribuiscono determinati poteri all’amministrazione.

3.3.– Nel merito, le questioni risulterebbero, comunque sia, non fondate.

L’art. 28 Cost. non sarebbe pertinente, non potendo i commissari straordinari essere qualificati come funzionari pubblici. Contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, a seguito della nomina, i commissari assumerebbero infatti il ruolo di organi straordinari, non già della Banca d’Italia, ma della banca sottoposta alla procedura, a carico della quale sono, del resto, le indennità loro spettanti.

Né potrebbe trarsi argomento contrario dal fatto che la Banca d’Italia possa perimetrare i poteri dei commissari in maniera diversa da quanto ordinariamente stabilito dalla legge e impartire loro istruzioni: nell’un caso e nell’altro, sarebbero, infatti, necessari provvedimenti amministrativi aventi efficacia esterna, e non già meri atti interni alla sfera organizzativa dell’amministrazione.

L’art. 72, comma 4, t.u. bancario prevede, d’altro canto, che determinati atti dei commissari siano sottoposti ad autorizzazione della Banca d’Italia, evocando così un istituto che presuppone l’alterità soggettiva tra l’autorità concedente e il soggetto che viene autorizzato: il che escluderebbe il rapporto di immedesimazione organica ventilato dal rimettente, pervenendosi altrimenti all’assurdo di una autorità chiamata ad autorizzare sé stessa.

3.4.– Peraltro, anche a voler ritenere che l’art. 28 Cost. si applichi ai commissari straordinari, si dovrebbe escludere che la norma censurata determini il denunciato «vulnus nel sistema della tutela giurisdizionale».

Improprio sarebbe il parallelo con le disposizioni dichiarate costituzionalmente illegittime dalle sentenze di questa Corte n. 4 del 1965 e n. 94 del 1963, le quali concernevano casi di autorizzazione amministrativa all’esercizio delle azioni penali. Il parallelo si baserebbe, dunque, su una indebita assimilazione della responsabilità civile alla responsabilità penale, trascurando il fatto che solo per la seconda vale il principio di obbligatorietà dell’esercizio dell’azione, ai sensi dell’art. 112 Cost.

Lo stesso vizio di prospettiva inficerebbe l’assunto del rimettente, secondo cui non basterebbe a riequilibrare il sistema la possibilità di agire, senza alcun “filtro”, nei confronti della Banca d’Italia, dato che l’art. 2 Cost. impedirebbe di relegare la responsabilità civile ad un ambito meramente patrimoniale, imponendo il coinvolgimento personale e diretto del danneggiante nell’accertamento giudiziale del fatto illecito.

Il giudice a quo ometterebbe di considerare che, mentre al centro del sistema della responsabilità penale vi sono il reo e la finalità di rieducazione dello stesso, la funzione essenziale della responsabilità civile consiste nella riparazione della perdita subita dal danneggiato. Per quest’ultimo è del tutto irrilevante l’origine (dal danneggiante o da un terzo) delle risorse destinate a soddisfare la sua pretesa risarcitoria: anzi, egli è meglio garantito dalla capienza e solvibilità del patrimonio pubblico.

3.5.– Quanto, poi, alla presunta deresponsabilizzazione dei commissari, la Banca d’Italia osserva come l’ordinanza di rimessione, dopo aver suggerito il ricorso, al posto dell’autorizzazione, a forme di copertura assicurativa variamente congegnate, ipotizzi, in via alternativa, l’introduzione, come «deterrente», di un obbligo di esercizio dell’azione di rivalsa da parte della Banca d’Italia nei confronti dei commissari.

Il rimettente avrebbe proposto, dunque, una pluralità di soluzioni alternative, nessuna delle quali costituzionalmente obbligata, o agganciabile, comunque sia, a precisi “punti di riferimento” rinvenibili nel sistema, prospettando, così, un intervento creativo che eccede i poteri di questa Corte.

3.6.– Non condivisibile sarebbe l’ulteriore affermazione del giudice a quo, stando alla quale la Banca d’Italia non sarebbe vincolata, nell’esercizio del potere autorizzatorio, «ad obiettivi e prestabiliti criteri di valutazione».

La Banca d’Italia è tenuta, infatti, ad esercitare i suoi poteri per le finalità della vigilanza a volta a volta conferenti, nell’ambito di quelle indicate in via generale dall’art. 5 t.u. bancario. Con riguardo al potere in discussione, assumerebbe preminente rilievo l’obiettivo di assicurare la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati. Quest’ultima potrebbe risultare, infatti, compromessa qualora, nel delicato percorso di risanamento delle imprese sottoposte alla procedura, i commissari straordinari fossero esposti a iniziative giudiziarie “di disturbo”, a carattere pretestuoso o denigratorio, da parte di soggetti portatori di interessi rilevanti estromessi dalla gestione aziendale, o, comunque sia, in conflitto con le iniziative intraprese. In questo modo, si eviterebbe anche che i professionisti più capaci vengano disincentivati dall’assumere l’incarico.

3.7.– Insussistente risulterebbe, ancora, il ventilato contrasto della norma censurata con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto latrice di disparità di trattamento rispetto ad agenti pubblici che svolgono compiti non meno elevati di quelli spettanti ai commissari straordinari.

Proprio la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, di cui al d.lgs. n. 270 del 1999 – richiamata dal rimettente a sostegno del suo assunto – confermerebbe, anziché smentirla, la ragionevolezza delle scelte legislative in esame. Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, anche l’azione di responsabilità contro i commissari straordinari delle grandi imprese insolventi è proponibile solo previa autorizzazione dell’autorità che vigila sul loro operato, stante il generale rinvio alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa operato dall’art. 36 del d.lgs. n. 270 del 1999, comprensivo anche dell’art. 199 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa). Si tratterebbe, peraltro, di un principio generale valevole anche per il curatore del fallimento ai sensi dell’art. 38 legge fallimentare, che infatti è direttamente richiamato dal citato art. 199.

Sotto tale profilo, dunque, la scorretta ricostruzione e la conseguente mancata ponderazione del quadro normativo di riferimento da parte del giudice a quo determinerebbero l’inammissibilità della questione.

Tutto ciò senza considerare che la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi non sarebbe, in ogni caso, utilmente invocabile come tertium comparationis, essendo ispirata a una logica diversa.

3.8.– Quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost., il rimettente avrebbe basato la censura sull’assunto che il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica sarebbe limitato a un controllo di tipo “estrinseco”.

Si tratterebbe, peraltro, di assunto superato dall’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, la quale si è mostrata ripetutamente propensa ad effettuare un controllo di tipo "intrinseco" sugli atti delle autorità amministrative indipendenti: prospettiva nella quale il giudice amministrativo potrebbe sindacare appieno l’adeguatezza delle valutazioni compiute dalla Banca d’Italia in ordine al carattere manifestamente pretestuoso delle iniziative giudiziarie da essa non autorizzate.

Ciò costituirebbe anche una ragione di inammissibilità della questione. Il giudice a quo si sarebbe, infatti, sottratto all’obbligo di preferire una interpretazione adeguatrice, sebbene tale interpretazione risulti non solo possibile, ma addirittura qualificabile come diritto vivente, strumentalizzando il giudizio di legittimità costituzionale per ottenere un improprio avallo dell’interpretazione opposta.

3.9.– Le medesime considerazioni dianzi svolte varrebbero, altresì, ad escludere l’ipotizzato contrasto con gli artt. 101, 102, 103, 111 e 113 Cost. e con gli artt. 6 CEDU e 47 CDFUE.

3.10.– Quanto, infine, all’asserita violazione della direttiva 2014/59/UE, il rimettente avrebbe evocato una disposizione non pertinente.

Come risulta dalla sedes materiae, l’art. 34, paragrafo 1, lettera e), della direttiva non riguarda affatto la procedura di amministrazione temporanea – finalizzata a scongiurare il dissesto degli enti creditizi tramite misure di intervento precoce, e corrispondente, in Italia, all’amministrazione straordinaria –, ma la procedura di risoluzione, che è una misura di gestione della crisi, il cui avvio presuppone l’irreversibile degenerazione della situazione aziendale.

Con riguardo agli amministratori temporanei, corrispondenti ai nostri commissari straordinari, la direttiva reca una disposizione di segno esattamente opposto. L’art. 29, paragrafo 9, riconosce, infatti, espressamente agli Stati membri la facoltà di «limitare la responsabilità degli amministratori temporanei conformemente al diritto nazionale relativamente ad atti e omissioni nell’esercizio del loro mandato […]»: ciò, nella evidente prospettiva di “alleggerire” la posizione dei professionisti che assumano il gravoso compito di risanare intermediari “in cattive acque”.

Andando proprio in questa direzione, il filtro autorizzativo previsto dall’art. 72, comma 9, t.u. bancario non solo non contrasterebbe con la direttiva indicata, ma risulterebbe pienamente conforme al suo spirito.

4.– La Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento delle questioni.

4.1.– In replica alle tesi della Banca d’Italia, la Fondazione contesta che il rimettente, con la sua pronuncia, abbia esaurito il potere decisorio.

La sentenza del TAR Lazio ha deciso, infatti, sui motivi di ricorso e sui motivi aggiunti intesi a denunciare la violazione di legge, l’eccesso di potere e l’elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato. Resterebbe, dunque, ancora da decidere sul motivo volto a denunciare l’illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario, in base al quale i provvedimenti impugnati sono stati adottati: ed è in relazione a questo che il rimettente ha sollevato le questioni.

4.2.– Parimente non condivisibile sarebbe l’assunto della Banca d’Italia, secondo cui le presunte limitazioni del sindacato giurisdizionale avrebbero dovuto indurre il TAR rimettente a dubitare della legittimità costituzionale delle norme processuali che non attribuiscono sufficienti poteri al giudice, anziché delle norme sostanziali che attribuiscono determinati poteri all’amministrazione.

L’art. 72, comma 9, t.u. bancario, prevedendo l’autorizzazione della Banca d’Italia per l’esercizio dell’azione civile nei confronti dei commissari, configura una condizione dell’azione, per cui è norma processuale, in quanto, solo rimovendo il diniego, il giudizio può proseguire.

4.3.– Riguardo all’altro argomento della Banca d’Italia, per cui le garanzie giurisdizionali sarebbero assicurate dalla facoltà di impugnare il diniego di autorizzazione davanti al giudice amministrativo e dalla possibilità di agire, comunque sia, nei confronti della stessa Banca d’Italia, varrebbe osservare, in senso contrario, che situazioni come quella di specie sono complesse: le azioni di responsabilità coinvolgono una pluralità di soggetti e hanno causae petendi il cui accertamento esula dallo schema del giudizio amministrativo proponibile avverso il decreto di autorizzazione.

D’altronde, proprio il fatto che la Banca d’Italia possa essere chiamata a rispondere dell’operato dei commissari porrebbe la stessa in manifesto conflitto di interessi, facendo sì che essa divenga, con il diniego di autorizzazione, «giudice di sé stessa».

4.4.– La norma censurata comprometterebbe, pertanto, i parametri evocati dal giudice a quo, a cominciare dal principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e dal diritto di difesa (art. 24 Cost.), riguardo al quale la giurisprudenza costituzionale ha chiarito come la determinazione di modalità e oneri dell’azione giudiziaria non debba rendere, comunque sia, difficile o impossibile l’esercizio del diritto.

5.– Anche la Banca d’Italia ha depositato memoria, ribadendo e sviluppando le difese già svolte e insistendo nelle conclusioni già formulate.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), nella parte in cui subordina la proposizione delle azioni civili nei confronti dei commissari straordinari delle banche alla previa autorizzazione della Banca d’Italia.

Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata violerebbe l’art. 28 della Costituzione, che prevede la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti, consentendo alla Banca d’Italia di sottrarre discrezionalmente all’autorità giurisdizionale, mediante il diniego dell’autorizzazione, il giudizio sulla responsabilità dei commissari straordinari da essa stessa nominati.

Risulterebbero violati anche gli artt. 47 e 97 Cost., in quanto la “schermatura” dal sindacato giurisdizionale, prefigurata dalla norma denunciata, determinerebbe una irragionevole deresponsabilizzazione dei commissari straordinari, nella delicata materia della tutela del risparmio, e un sensibile affievolimento delle garanzie a cui presidio sono posti i principi di buona amministrazione e di imparzialità.

La norma denunciata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 3 Cost., introducendo una eccezione al principio di responsabilità per gli atti compiuti in violazione dei diritti non giustificata da ragioni soggettive e oggettive, e tale da determinare una disparità di trattamento rispetto ad altri agenti pubblici che svolgono compiti non meno elevati di quelli dei commissari straordinari delle banche.

Il meccanismo autorizzativo violerebbe, ancora, l’art. 24 Cost., determinando una menomazione del diritto di accesso a un giudice terzo e imparziale, ad escludere la quale non sarebbe sufficiente la possibilità di impugnare il diniego dell’autorizzazione davanti al giudice amministrativo, stanti i limiti del sindacato di tale giudice sui provvedimenti espressivi di discrezionalità tecnica; gli artt. 101, 102, 103 e 113 Cost., in quanto consentirebbe una indebita interferenza dell’autorità amministrativa nella sfera giurisdizionale, alla quale soltanto apparterrebbe l’accertamento delle responsabilità civili e la connessa tutela risarcitoria; l’art. 111 Cost., per compromissione della garanzia del giusto processo, inscindibilmente connessa alla pienezza e all’effettività della tutela giurisdizionale; nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, il quale – secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo – garantisce il diritto di accesso a un tribunale, escludendo che possano ammettersi restrizioni che ne compromettano il contenuto essenziale.

Il rimettente denuncia, infine, la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione sia all’art. 34, paragrafo 1, lettera e), della direttiva (UE) 2014/59 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, il quale, nell’ambito della disciplina della risoluzione degli enti creditizi, stabilisce il principio della responsabilità delle persone fisiche, oltre che giuridiche, per il dissesto dell’ente; sia all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che prevede il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice.

2.– In via preliminare, va rilevato che non costituisce, di per sé, motivo di inammissibilità il fatto che il TAR Lazio abbia sollevato le questioni con atto qualificato come sentenza, e segnatamente come sentenza parziale.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, la circostanza che le questioni siano state sollevate con sentenza – e, in particolare, con sentenza parziale (o non definitiva) – anziché con ordinanza, non influisce sulla rituale instaurazione del giudizio, qualora il giudice a quo, indipendentemente dal nomen iuris, dopo la positiva valutazione concernente la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni stesse, abbia disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione del fascicolo, in conformità a quanto previsto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) (ex plurimis, sentenze n. 179 del 2019, n. 126 e n. 116 del 2018, n. 275 del 2013 e n. 94 del 2009).

In simili casi, vengono adottati dal giudice a quo, in uno stesso contesto formale (cioè in un unico atto), due distinti provvedimenti (una sentenza non definitiva e un’ordinanza di rimessione, in relazione ai motivi di ricorso non decisi): il che non incide sulla autonomia di ciascuno e sulla idoneità di quello costituente ordinanza ad instaurare il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale (sentenza n. 86 del 2017; analogamente, sentenza n. 208 del 2019).

Tutto ciò vale, peraltro, alla condizione che, tramite la suddetta sentenza parziale, il procedimento principale non sia stato, in realtà, già integralmente definito (sentenze n. 86 del 2017 e n. 94 del 2009), con conseguente esaurimento della potestas iudicandi del giudice rimettente: situazione, questa, che risulterebbe ostativa alla proposizione dell’incidente di legittimità costituzionale (sentenze n. 315 e n. 166 del 1992).

3.– Proprio su tale rilievo si fonda la prima delle eccezioni di inammissibilità formulate dalla Banca d’Italia, costituita in giudizio.

Al riguardo, è necessario ripercorrere, in sintesi, la vicenda oggetto del giudizio principale, minuziosamente descritta nell’atto di rimessione.

Con provvedimento del 6 marzo 2018, la Banca d’Italia ha negato alla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi l’autorizzazione, da essa richiesta, ad agire in giudizio nei confronti di coloro che avevano ricoperto l’incarico di commissari straordinari della Banca delle Marche spa.

La Fondazione ha impugnato il provvedimento davanti al TAR Lazio, odierno rimettente, deducendo, da un lato, vizi di violazione di legge ed eccesso di potere in relazione a diverse figure sintomatiche; dall’altro lato, l’illegittimità costituzionale della norma (l’art. 72, comma 9, t.u. bancario, appunto) sulla cui base il provvedimento è stato adottato, con conseguente illegittimità “derivata” di quest’ultimo.

La ricorrente ha proposto anche istanza cautelare. Respinta dal TAR, essa è stata accolta, a seguito di appello cautelare, dal Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza del 1° agosto 2018, ha ordinato alla Banca d’Italia un «pronto riesame […] dell’istanza di autorizzazione».

Con provvedimento del 13 agosto 2018, la Banca d’Italia ha, peraltro, confermato il diniego di autorizzazione.

La Fondazione ha impugnato anche tale secondo diniego con motivi aggiunti, deducendo, da un lato, novamente vizi di violazione di legge (in specie, dello stesso art. 72, comma 9, t.u. bancario) ed eccesso di potere; dall’altro, l’«elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato in violazione degli artt. 24 e 97 Cost.».

A fronte di tale thema decidendum, il TAR Lazio ha emesso una sentenza qualificata come parziale, mediante la quale ha rigettato, sulla scorta di diffusa motivazione, sia i motivi di ricorso intesi a censurare i provvedimenti impugnati per violazione di legge ed eccesso di potere, sia il motivo aggiunto proposto nei confronti del secondo provvedimento, inteso a denunciare l’elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato. Rilevato, tuttavia, come la Fondazione avesse contestato anche la legittimità costituzionale della norma che conferisce alla Banca d’Italia il potere autorizzativo, il giudice a quo ha in relazione a ciò sollevato, con la stessa sentenza, le questioni oggi in esame.

4.– La Banca d’Italia ha eccepito che, pronunciandosi in senso positivo con sentenza sulla legittimità di entrambi i provvedimenti impugnati, il TAR avrebbe già fatto applicazione della norma censurata, consumando il proprio potere decisorio: donde l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.

Le questioni sono, in effetti, inammissibili: ma per ragioni parzialmente diverse e più articolate di quelle prospettate dalla parte costituita.

In proposito, occorre considerare che, davanti al TAR rimettente, sono stati impugnati, in successione, due distinti provvedimenti, aventi il medesimo oggetto.

Avverso il primo provvedimento, del 6 marzo 2018, la Fondazione ricorrente ha dedotto motivi volti a contestare, sia il “cattivo esercizio” del potere di autorizzazione da parte della Banca d’Italia (violazione di legge, eccesso di potere); sia l’esistenza stessa del potere, in conseguenza dell’asserita illegittimità costituzionale della norma che lo conferisce. Qualora nel giudizio a quo si discutesse esclusivamente di tale provvedimento, sarebbe agevole osservare che – sebbene il secondo profilo di censura debba ritenersi, a rigore, logicamente pregiudiziale rispetto al primo – la circostanza che il rimettente abbia negato, con sentenza, il “cattivo esercizio” del potere non escluderebbe che gli resti, comunque sia, da decidere sul motivo relativo all’esistenza del potere: prospettiva nella quale la potestas iudicandi del giudice a quo – contrariamente a quanto sostenuto dalla Banca d’Italia – non risulterebbe esaurita.

Sta di fatto, però, che, di seguito all’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, sul primo provvedimento della Banca d’Italia di diniego dell’autorizzazione è sopraggiunto un secondo provvedimento: quello del 13 agosto 2018, di conferma del diniego, che la Fondazione ha impugnato con motivi aggiunti, i quali ricalcano solo in parte i motivi originari. Secondo quanto si riferisce nell’atto di rimessione, è stata riproposta, bensì, la censura di violazione di legge ed eccesso di potere, ma non quella di illegittimità costituzionale della norma attributiva del potere. In luogo di essa, la Fondazione ha lamentato l’«elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato in violazione degli artt. 24 e 97 Cost.». Il contrasto con tali parametri costituzionali (che sono una parte soltanto di quelli evocati con i motivi originari, a sostegno della dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario) risulta dunque addebitata, non più alla norma di legge ora citata, ma direttamente al nuovo provvedimento della Banca d’Italia, in quanto asseritamente elusivo del dictum del Consiglio di Stato.

Rispetto al secondo e nuovo provvedimento di diniego, manca, in conclusione – alla luce di quanto dedotto dal rimettente –, un autonomo motivo volto a denunciare un vizio di “illegittimità derivata”, scaturente dalla contrarietà a Costituzione della norma di cui il provvedimento stesso ha fatto applicazione.

5.– Ciò posto, per costante giurisprudenza amministrativa occorre distinguere l’atto amministrativo meramente confermativo, con cui la pubblica amministrazione si limita semplicemente a ribadire la volontà espressa in un precedente provvedimento, e l’atto di conferma in senso proprio, con il quale invece l’amministrazione riesamina la precedente decisione, mediante una nuova valutazione degli elementi o l’acquisizione di nuovi (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione seconda, 12 giugno 2020, n. 3746; Consiglio di Stato, sezione quarta, 29 agosto 2019, n. 5977).

La rilevanza della distinzione sta in ciò, che diversamente dall’atto meramente confermativo (non impugnabile perché privo di autonomo contenuto lesivo), l’atto di conferma va a sostituire l’atto confermato, rendendo improcedibile per difetto di interesse il ricorso originariamente proposto contro quest’ultimo: l’interesse del ricorrente si sposta, infatti, dall’annullamento del primo atto all’annullamento del secondo, che lo ha sostituito (e che, pertanto, il ricorrente ha l’onere di impugnare, eventualmente con motivi aggiunti) (Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza n. 3746 del 2020).

Di questi principi la giurisprudenza amministrativa ha fatto ripetuta applicazione anche con riguardo al caso – verificatosi nel giudizio a quo – in cui il provvedimento confermativo consegua al cosiddetto “accoglimento della domanda cautelare ai fini del riesame”: vale a dire in relazione alla diffusa prassi processuale in base alla quale il giudice amministrativo, in sede cautelare, ordina all’amministrazione di riesaminare la situazione alla luce dei motivi del ricorso (è quanto il Consiglio di Stato ha chiesto alla Banca d’Italia nell’ipotesi di specie). Tale tecnica di tutela cautelare si caratterizza, in effetti, proprio per il fatto di rimettere in gioco l’assetto degli interessi definito con l’atto impugnato, restituendo alla pubblica amministrazione l’intero potere decisionale iniziale, senza pregiudicarne il risultato finale (ex plurimis, TAR Calabria, sezione seconda, 18 febbraio 2020, n. 301; TAR Sicilia, sezione terza, 21 novembre 2016, n. 3004; TAR Lazio, sezione seconda-quater, 27 luglio 2015, n. 10245).

6.– Secondo i principi ora ricordati, nel caso in esame si dovrebbe concludere che, ove il secondo provvedimento della Banca d’Italia costituisse un atto di conferma in senso proprio (sostitutivo, dunque, del provvedimento originario), i soli motivi di ricorso di cui il TAR rimettente doveva occuparsi erano quelli formulati in confronto a tale provvedimento, ossia i motivi aggiunti.

Tali motivi – che, come osservato, non risultano comprensivi della denuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, t.u. bancario – sono già stati dichiarati, peraltro, entrambi non fondati con sentenza: il che implicherebbe l’esaurimento del potere decisorio del rimettente, il quale, non avendo più alcunché su cui pronunciare, non potrebbe sollevare ormai le questioni neppure d’ufficio.

7.– Con la complessa tematica ora posta in evidenza il rimettente non si è, tuttavia, affatto confrontato. Egli non ha spiegato, in particolare, perché, alla luce dei consolidati indirizzi giurisprudenziali cui dianzi si è fatto cenno, dovrebbe continuare ad occuparsi – anche dopo la pronuncia di merito emessa – dell’originario secondo motivo di ricorso contro il primo provvedimento di diniego (l’unico inteso a far valere un vizio di “illegittimità derivata”).

L’analisi di tale aspetto risultava, peraltro, tanto più necessaria a fronte del fatto che, dalle indicazioni contenute nell’atto di rimessione, il secondo provvedimento di diniego della Banca d’Italia sembra, in effetti, costituire un atto di conferma in senso proprio, frutto di una nuova e distinta determinazione della Banca d’Italia, sostitutiva, quindi, della precedente. Nel rigettare la censura di elusione dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato, il TAR rimettente afferma, infatti, specificamente che, in esecuzione di quanto disposto da tale ordinanza, con il provvedimento in questione la Banca d’Italia si è «rideterminata», rispondendo ai rilievi formulati dalla Fondazione e prendendo in esame le fonti e le relazioni da essa citate a sostegno delle proprie doglianze, per poi addivenire alle medesime conclusioni precedentemente raggiunte.

8.– La descritta lacuna si traduce, quindi, in una insufficiente motivazione in punto di rilevanza: il che, secondo il costante orientamento di questa Corte, rende inammissibili le questioni sollevate (ex plurimis, sentenze n. 61 e n. 48 del 2021, n. 266 del 2019).

Le altre eccezioni di inammissibilità della Banca d’Italia restano assorbite.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 72, comma 9, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 28, 47, 97, 101, 102, 103, 111, 113 e 117, primo comma, della Costituzione – quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – nonché agli artt. 11 e 117 Cost., in relazione all’art. 34, paragrafo l, lettera e), della direttiva (UE) 2014/59 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento e che modifica la direttiva 82/891/CEE del Consiglio, e le direttive 2001/24/CE, 2002/47/CE, 2004/25/CE, 2005/56/CE, 2007/36/CE, 2011/35/UE, 2012/30/UE e 2013/36/UE e i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 648/2012, del Parlamento europeo e del Consiglio, e all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 ottobre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2021.